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Arturo Martini
Description
- Arturo Martini
- Odalisca
- firmato e datato 1930
- terracotta
- cm 43x56x27
- Eseguito nel 1928 circa, esemplare unico
Provenance
Ivi acquistato dall'attuale proprietario nel 1992
Exhibited
Literature
G. Perocco, Arturo Martini, Catalogo delle sculture e delle ceramiche, Torino 1966, fig. 138, illustrato
N. Pozza, Arturo Martini. Catalogo Ragionato delle sculture, Vicenza 1998, pag. 160, n. 232, illustrato
Condition
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Catalogue Note
"Per due anni ho studiato la scultura etrusca e per cinque l'ho ridata. Io sono il vero etrusco; loro mi hanno dato il linguaggio, e li ho fatti parlare, li ho espressi".
Arturo Martini, Colloqui, 1968
Nonostante la data apposta da Martini sulla base della scultura, i caratteri stilistici collocano l'Odalisca nel 1928, anno in cui Arturo Mar🃏tini entra nella sua stagione artistica più fecoꦆnda e famosa: il "periodo del canto", che deve il suo nome a un'espressione da lui stesso usata per le opere eseguite sino al 1935.
E' nel 1928 ch🐎e Martini si ritrova padrone di un ling𝓰uaggio maturo e duttile, rigorosamente figurativo, i cui aspetti tradizionali, etruschi o romanici o classici, non vengono da una scelta ideologica, ma da una libertà artistica funzionale a una non comune capacità di espressione poetica. Sono ormai cadute le certezze stilistiche elaborate nel periodo di "Valori Plastici" e l'artista è attratto da soluzioni di maggiore intensità espressiva.
Dall'incontro tra il sentimento della forma classica e la natura della sua ispirazione viva, immediata e popolare, nascono le palpitanti terracotte, tra le quali l'Odalisca, eseguite nel grande forno di Vado Ligure dopo il 1925. La posizione della figura, allungata oltre i canoni re🥂ali, è semireclinata (con una citazione dei sarcofagi di Valle Giulia) su di un supporto a forma di tombolo, sul quale il peso del corpo segna un avvallamento.
Nel periodo di Vado l'influenza della lezione degli Etruschi si innesta sulla predilizione per la terracotta come materiale duttile e capace di trasmettere emozioni grazie alla sua morbidezza e al suo colore caldo. La familiarità di Martini con la creta ha origini lontane. Giovanni Commisso, che gli fu amico sin dalle prime prove trevigiane, racconta: "Diceva spesso che fino da ragazzo avrebbe voluto diventare un musicista, ma la povertà della famiglia non gli consentiva di comperare un pianoforte, ne di avviarlo al misterioso studio della musica. Dovette quindi ripiegare sulla scultura, perché era l'arte dei poveri e il mezzo per farlo glielo offriva la terra, come un suo frutto ed egli rubava quel frutto, quella creta, come nell'orto del vicino, dal carro che lo portava a una fabbrica attigua alla sua casa ..." (G. Commisso, A. Martini. Le lettere, 1909-1947, Treviso, 1954, pag.15). In questa primissima esperienza trevigiana è racchiuso dunque il segreto della futura perizia martiniana nel trattare la creta, di cui gli Etruschi erano antichi e spontanei 𒅌modella🍒tori.
Nella loro arte Martini ama scorgere il carattere artigianale e mai aulico, pecul🌞iarità importante per un artista che concepisce la scultura come fusione di ispirazione e mestiere, così intimamente posseduto da poterlo dimenticare.